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sabato 14 settembre 2013

The Making of

foto dal set di "2001: odissea nello spazio"
pictures from the set of "2001: a space odyssey"


fonti / sources: The Stanley Kubrick Archives; Ebay; bfi.org.uk; A Life in Pictures; douglastrumbull.comHardy Amies short documentary movie; playboy.tumblr.com









lunedì 8 aprile 2013

intermission

In attesa di articoli più "ciccioni" (e quindi di faticosa produzione), un breve intervallo con foto curiose e per lo più inedite direttamente dal set di 2001: Odissea nello spazio.








martedì 12 marzo 2013

Le illustrazioni perdute dal set di 2001

Un velocissimo post per segnalare un bell'articolo di Filippo Ulivieri sulle illustrazioni perdute di Brian Sanders dal set di 2001. Assolutamente da leggere. Segnalazione originale di Fabio.


mercoledì 6 marzo 2013

Federico Greco intervista Antonio Margheriti

Facendo seguito al mio precedente post in cui Federico Greco intervistava Gino Pellegrini, oggi pubblico, sempre con il permesso di uno degli autori di Stanley & Us, un'intervista ad uno dei più grandi registi "di genere" - anzi, registi e basta - che l'Italia abbia mai avuto: Antonio Margheriti, scomparso nel 2002.

A lungo è circolata su internet e negli ambienti cinematografici kubrickiani (e non) la leggenda che Margheriti avesse aiutato Kubrick nella realizzazione degli effetti speciali di 2001: odissea nello spazio. In questa bella intervista Federico - con la collaborazione di Dean Bulletti - aiuta a chiarire i dubbi e ci presenta un bel ritratto dell'ingegnoso regista. Ritroveremo Margheriti in una delle prossime puntate della mia serie di articoli "precursori".

L'intervista l'ho salvata dallo scomparso sito che la ospitava, Cinemazip.rai.it. Ne esiste una versione precedente (febbraio 2001) nel sito di Federico. In quella che vi presento di seguito ho solo aggiunto le due immagini che la illustrano: la prima proviene dal sito ufficiale di Antonio Margheriti gestito dal figlio Edoardo; la seconda da un interessante sito in cui possiamo leggere una bella recensione di Space Man.


ANTONIO MARGHERITI, INTERVISTA

Sabato 21 Luglio 2001
di Federico Greco e Dean Buletti

Dopo cento anni Georges Méliès si è reincarnato in uno dei più straordinari creatori di trucchi che il cinema ricordi. E’ italiano e si chiama Antonio Margheriti (o, se volete, Anthony Daisies, o ancora Anthony M. Dawson).
Antonio Margheriti ancora oggi lavora a mano, in totale artigianato, come si faceva nel 1896. Insieme a Riccardo Freda e Mario Bava, ha rappresentato un capitolo fondamentale del cinema italiano, ancora poco riconosciuto dalla storia ufficiale. Ed è anche una specie di "gemello" di Kubrick a cui lo uniscono tantissime analogie.
Anche 2001 Odissea nello spazio è un grande film di fantascienza realizzato esclusivamente con effetti fotografici e con il contributo di decine di scenografi e aiuti scenografi: all’epoca quegli effetti erano all’avanguardia, ma alla luce delle nuove tecnologie digitali sembra veramente "fatto con le mani", nonostante i risultati continuino a rimanere straordinari.

Le coincidenze non finiscono qui. Margheriti non ha mai fatto dei film "normali", è sempre riuscito a metterci dentro delle trovate. Un elemento comune è anche il divertimento: molte volte Antonio era anche autore del soggetto, della sceneggiatura, degli effetti speciali, del montaggio. Un one-man-band come Stanley, ma anche come Russ Meyer o il primo Lucas.
Abbiamo parlato con lui nella sua villa fuori Roma che affaccia sul lago di Bracciano...

Per quale motivo Kubrick la chiamò a collaborare per 2001?

Fui chiamato dal presidente della Metro International, Maurice "Red" Silverstein, perché poco prima per loro avevo fatto L’arciere delle mille e una notte (1964), un film fantastico in cui c’era una battaglia di tappeti volanti. Questa sequenza colpì molto i dirigenti della Metro, perché non la realizzai come avrebbe fatto chiunque, cioè con semplici bluescreen, ma facendo in modo che questi tappeti volassero in ogni parte dell’inquadratura: addirittura entravano in campo scavalcando la macchina da presa... Fu complicatissimo. A quei tempi, negli anni ’60, non si faceva. Una fatica enorme, anche per illuminare il set: avevamo qualcosa come 20-25 bruti – delle lampade a incandescenza, con l’arco, il carbone... Poteva capitare che mentre avevamo preparato l’ultimo, il primo si stava scaricando. Giravamo un quadro al giorno. Per me che ero abituato a fare i film in due settimane e un giorno (il giorno serviva di solito per gli effetti speciali o i trucchi), fu una fatica enorme, ma devo riconoscere che gli effetti vennero molto bene. Piacque talmente in America, tecnicamente, che Silversteen mi volle a Londra. Andammo a casa di Stanley Kubrick, ad Abbots Mead (la vecchia casa, ultimamente Stanley viveva a St. Albans, nell’Hertfordhire, ndr), una grande villa di campagna. E il film piacque molto anche a Kubrick.

 Una scena de L'arciere delle mille e una notte (1964)

E perché rifiutò?

Io sono un regista che non ama pensare, preferisco fare con le mie mani (vedete, sono tutte rovinate e piene di cerotti...). Su 2001 si sarebbe trattato di pensare, e poi io sono uno che ci mette molto poco a fare un film. Lì sarei stato nove mesi... è un mondo che non mi appartiene. Mi chiesero di seguire gli effetti speciali e di supervisionare la parte creativa, proprio perché gli era piaciuto molto il modo in cui avevo affrontato la realizzazione di quegli effetti speciali nel mio film. Avrei dovuto affiancare Douglas Trumbull, il vero creatore degli effetti di 2001. Quando vidi il suo primo film (2002: la seconda odissea, del 1971) rimasi a bocca aperta. Lui veniva da Cape Canaveral. Era perfetto per quel ruolo, era l’uomo giusto, sarebbe stato capace anche di passare anni su quel film. Io non sarei neppure riuscito a metterci una mano. E poi ero in un periodo curioso... non volevo preoccupazioni. Tanto sapevo che c’era san Silverstein che ogni volta che c’era da lavorare mi chiamava. Lo so, ho perso una grande occasione.

Anche 2001, per molti aspetti, fu un film "artigianale".

E' vero, ma era un artigianato di lusso. Il punto di arrivo è artigianale, ma preparato e studiato... E il lusso era anche che Kubrick poteva permettersi di non spiegare nulla di quello che stava facendo ai produttori. Io ancora oggi mi faccio tantissime domande sul significato di molte scene. Ma come tutti, perché anche alla Metro nessuno poteva dire niente. Dopo la proiezione ci fu un momento di religioso silenzio, perché nessuno aveva il coraggio di dire niente... nemmeno di dire: "Non l’ho capito". Certi sgusciavano via...

Lei ha spesso rifiutato grandi progetti internazionali...

Sì. Fui chiamato anche da Dino De Laurentiis per King Kong. C’era già Rambaldi per i trucchi. Io ho letto il copione e ho detto: "Scusate, sto preparando un altro film".

E’ opinione comune che 2001 abbia rifondato la fantascienza...

No, 2001 l’ha fondata. L’ha fatta. Non si era mai fatta la fantascienza come andava fatta... Poi che quel film abbia delle cose che possono non piacere, che abbia delle scene troppo lunghe...
Prima di quello avevo visto un solo film di fantascienza che mi aveva fatto divertire per i trucchi, Il pianeta proibito (un film di Fred Wilcox del 1956 in cui appare per la prima volta Robbie il robot), con Walter Pidgeon. C’erano dei trucchi straordinari.

Qual era la situazione del cinema di fantascienza in Italia nel '60, quando lei iniziò con il suo "Space man"?

C’era stato un piccolo film di fantascienza, in bianco e nero, e l’operatore era Mario Bava. Era la fine degli anni '50. Ora non ricordo il titolo...(Si tratta di La morte viene dallo Spazio, 1958, di Paolo Heusch; Mario Bava è pure curatore degli effetti speciali, ndr).

E il suo Space man?

Era una produzione della Titanus e della Ultra Film di Turi Vasile col quale sto per lavorare di nuovo. Lo realizzammo tutto alla allora Titanus Appia, l’ex "Scalera". L’astronave del film in parte era un modellino dell’astronave per Marte disegnata da Werner Von Braun negli anni '50. Comprai il modellino alla Upim per mille lire. Mi misero a disposizione cinquanta milioni. Ne dovevo spendere quarantotto ma sforai di due.

Una scena di Space Man (1960)

All’epoca in Italia c’era lo zero assoluto dal punto di vista delle produzioni di fantascienza...

Sì, Vasile riuscì a convincere Goffredo Lombardo (produttore tra gli altri di Rocco e i suoi fratelli e Il Gattopardo, ndr). Venne in teatro di posa e vide il modellino con cui mi stavo divertendo mentre all’epoca giravo per loro dei piccoli caroselli... Poi girai Il pianeta degli uomini spenti.

Quali mezzi aveva a disposizione quando ricostruiva lo "Spazio" in studio?

Il più delle volte avevo un panno nero e davanti delle piccole lampadine. Solo più tardi mi fu consentito di fare dei buchi nel panno e mettere le lampadine dietro.

Perché?

Perché il panno nero costava, ragazzi, mica si poteva bucare... E la Terra era un enorme globo che stava nei bagni degli studi, una specie di lampadario, che io facevo sempre portare via. Era enorme... non riuscivo a trovare in giro una cosa simile, altrimenti l’avrei comprata.
Capitava spesso poi che utilizzassi degli specchi quando non c’erano soldi per rendere interessanti delle scene che avevano bisogno di atmosfere particolari. Nei momenti di crisi chiedevo al mio collaboratore: "Facciamo una specchiata?".

Perché cambiò nome?

Me lo chiesero Lombardo e i distributori americani, perché in un film del genere (Space man) Margheriti non andava bene. Io lo cambiai in Daisies, che significa "Margherite". Poi dall’America mi arrivò un telegramma, mentre preparavo il secondo film: "Dawson is o.k.?". Antonio Margherite suonava male, poteva sembrare omosessuale: Antonio che va a margherite... Ma ci fu un film, l’unico, che firmai con il mio vero nome. E fu proprio L’arciere delle mille e una notte.

Girava film destinati al mercato americano.

Sì, ma anche all’Italia. Il genere di film che ho fatto è sempre andato in tutto il mondo. Precedevo sempre tutti i generi. Io facevo fantascienza mentre in Italia si facevano i peplum... I western, ad un certo punto, non li avrei voluti fare, perché i primi western, girati in Spagna, erano brutti. Ne ho fatti tre soltanto. Se non nasceva Sergio Leone il western all’italiana non sarebbe mai arrivato al successo mondiale. Io che avevo un mercato all’estero non sarei mai riuscito a vendere un film western se prima non fosse nato un genere.

mercoledì 27 febbraio 2013

Federico Greco intervista Gino Pellegrini

Tanto tempo fa  - manco a farlo apposta era il 2001 - segnalai agli immarcescibili autori di Stanley & Us che dalle mie parti, in provincia di Bologna, lavorava uno scenografo e artista che aveva partecipato alla realizzazione di 2001: Odissea nello spazio.

Si tratta di Gino Pellegrini, la cui esistenza e opera scoprivo da questo sito ancora esistente. Uno dei tre autori di Stanley & Us, Federico Greco, riuscì a contattarlo per una breve intervista che vi propongo qui in versione integrale (ho rimosso solo un link ad un sito non più attivo) dopo averla ripescata dallo scomparso sito che la ospitava, Cinemazip.rai.it. Grazie a Federico per il permesso.

Rileggendo l'intervista oggi ho solo un dubbio: il guinzaglio che mi era sembrato di intravedere nella scena del leopardo non l'ho più rivisto nè in blu-ray nè al cinema in 35 o 70 millimetri. (Mi chiedo se sia stata un'allucinazione causata dalla bassa risoluzione di quel primitivo DVD.)

Non è incredibile, invece, la riservatezza e la modestia di Gino Pellegrini, che è simile a quella di Emilio D'Alessandro, il collaboratore più prezioso di Kubrick, suo autista-tuttofare per trent'anni, mirabilmente ritratto da Filippo Ulivieri in Stanley Kubrick e me.

GINO PELLEGRINI, IL PITTORE DELLE NUVOLE

Sabato 21 Luglio 2001
di Federico Greco con la collaborazione di Simone Odino


Gino Pellegrini, scenografo, ha sessant'anni. E’ nato infatti a Lugo di Vicenza il 13 agosto del 1941. Verso la metà degli anni '60, dopo essersi trasferito negli Stati Uniti per studiare alla Facoltà di Architettura dell'U.C.L.A. e conseguire, alla Art Center School di Los Angeles, il Master in Fine Arts, ha l’incredibile privilegio di trovarsi sul set di 2001: Odissea nello spazio. Ovviamente non poteva prevedere allora cosa sarebbe diventato nel tempo quel film epocale, e anche oggi mostra una semplicità e un'umiltà che confinano con la saggezza.
Abbiamo provato a chiedergli se voleva essere intervistato per il nostro documentario Stanley and us Project, ha gentilmente declinato dicendo che preferisce kubrickianamente rimanere defilato nella sua cittadina. Ci ha concesso però qualche minuto prezioso al telefono.

Quale fu il suo ruolo nel film?

Collaboravo con Harry Lange, accreditato ufficialmente come scenografo, e con gli altri due "production designer" del film, che in realtà erano scienziati della NASA, Tony Masters e Ernie Archer.
Alcuni considerano Tony Masters una sorta di co-autore del film, insieme a Kubrick, perché fu lui a coordinare tutto il lavoro di realizzazione scenografica, soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione della navicella PanAm Orion.


Qual era esattamente il suo compito?

Alcuni dettagli della scenografia: dovevo ridipingere continuamente le nuvole per il modellino della Terra vista dalla Stazione Spaziale. Era un modellino di un metro per un metro e venti. Per ogni nuova inquadratura Kubrick voleva che la vista fosse diversa, come se le nuvole si fossero mosse veramente.

Un esempio della sua incredibile meticolosità…

Sì. Un altro intervento fu sulle quinte della sequenza iniziale dell’Alba dell’Uomo.

Cioè?

Come sapete Kubrick volle girare quella scena con la front projection, cioè con delle diapositive proiettate sullo sfondo delll’inquadratura che raffiguravano scene di deserto, come la Terra avrebbe dovuto essere milioni di anni fa. Ma c’erano anche delle quinte di legno che servivano a dare l’effetto della profondità. Per esempio nella scena del leopardo, il masso vicino era un masso di legno costruito appositamente, dietro il quale fu nascosto il guinzaglio che teneva il leopardo legato. La corda poi fu anche cancellata fotograficamente (ma se ci fate caso se ne vede un pezzo, purtroppo per il momento solo sul DVD in vendita negli USA, dove tra l’altro – usando la slow motion e il fermo immagine – si intravede anche la texture dello scotchlite dello schermo alle spalle della scena per la front-projection, n.d.r.)... Altre quinte presenti in quella sequenza che io disegnai simulavano dei cespugli.

Il leopardo fu veramente l’unico punto debole di quella incredibile ricostruzione, avvenuta in studio con un sistema detto Sinar, composto di una proiezione frontale (invece di quella retro più diffusa all’epoca) di diapositive 25x20 cm. su schermo catarifrangente della 3M di 12x27 metri. Infatti quando il leopardo volge lo sguardo verso la macchina da presa si vedono i suoi occhi brillare per la luce della proiezione.

Ma di aneddoti sul film ne esistono migliaia, e molti di questi vengono sapientemente raccontati in un documentario che Channel Four ha mandato in onda qualche settimana fa. Per comprendere fino a che punto Kubrick pretendesse il massimo dai suoi collaboratori, basti ricordare quello che si diverte a ripetere John Baxter nella sua biografia non autorizzata.

Sentite una delle vessazioni che Gino Pellegrini dovette subire sul set:

"Gli scenografi non lavoravano mai abbastanza in fretta. Kubrick era convinto che i suoi collaboratori passassero la maggior parte del tempo a chiacchierare e a bere tè e prese in considerazione l’idea di installare un sistema di monitoraggio a circuito chiuso nascosto per sorvegliarli, fino a quando i lavoratori più informati sulle regole del sindacato britannico lo avvisarono che una mossa simile avrebbe immediatamente provocato uno sciopero".

Oggi Gino Pellegrini vive a Monte S.Pietro (Bologna), ed è titolare di un’azienda che si occupa di scenografia, dove applica una preziosa esperienza di lavoro maturata nel cinema americano. Oltre a 2001 ha lavorato per esempio ne Gli Uccelli di Hitchcock, Mary Poppins, West side story, e le serie televisive Star Trek e Il pianeta delle scimmie. Se volete avere un assaggio delle sue incredibili capacità di creatore di scenografie trompe l’oeil – e capire perché sia stato ingaggiato dal regista più incontentabile della storia del cinema – visitate il sito, virtuale e reale, di Persiceto, nella bassa bolognese. Ne scoprirete delle belle.

mercoledì 6 febbraio 2013

aste incredibili

49 anni dopo l'inizio della produzione di 2001, continuano a saltare fuori materiali inediti, e non solo dai Kubrick Archives.

In un'asta tenuta (nel 2011, lo so! l'ho scoperto solo adesso) dal sito specializzato Icollector sono stati battuti diversi oggetti di gustosissimo interesse kubrickiano e, ahimè, salatissimo prezzo:
  • due set separati di stampe e negativi con immagini di Kubrick sul set di 2001 (alcune già viste nelle collezioni della rivista LIFE e già apparse qui e qui)
  • una valigetta molto probabilmente appartenuta al regista (come avrà fatto a sfuggirgli?) e contenente, fra le altre cose, il premio ottenuto al Festival di Locarno nel 1959 come miglior regia per Il bacio dell'assassino.


Cosa avrei dato per metterci le mani sopra, non lo so. Comunque, in totale i tre bandi sono stati chiusi a VENTISETTEMILA dollari.

In un sito parallelo al precedente, Profiles in History, lo scorso luglio venivano vendute altre cose di valore per noi inestimabile:
  • una bella stampa realizzata in fase di pre-produzione da Robert McCall, l'artista che ha realizzato il famoso poster del film con la Stazione Spaziale e che mi sembra di non avere mai visto prima;
  • una sceneggiatura del film datata luglio 1965, commentata a penna da Kubrick (la cui scrittura è riconoscibile, mi sembra, in copertina) da cui la foto qui sotto.